sabato 31 maggio 2025

Chi era Antonio Ligabue? La sua vita tra arte e dolore

Chi era Antonio Ligabue? La sua vita tra arte e dolore

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Nel 2020, il regista Giorgio Diritti ha portato sul grande schermo la vita tormentata di Antonio Ligabue con Volevo nascondermi, un film che scuote e lascia il segno e che mi è capitato di vedere in questi giorni
È un’opera potente, che descrive il dolore e il genio di un artista incompreso, affidando a Elio Germano – premiato con l'Orso d’Argento al Festival di Berlino – il compito di dargli corpo e voce con un’intensità struggente.

La sua biografia, in breve

Antonio Ligabue nasce a Zurigo nel 1899, da una madre italiana emigrata in Svizzera e da padre ignoto. Dopo la morte dei suoi tre fratellini, viene affidato a una famiglia svizzera, con cui non avrà un rapporto sereno. Cresce in un ambiente difficile, segnato da povertà, discriminazioni e fragilità psichiche. A scuola è deriso, e la sua diversità non trova comprensione.

Nel 1919 viene espulso dalla Svizzera per motivi comportamentali e mandato in Italia, nel paese d'origine della madre: Gualtieri, nella bassa padana. Lì non ha legami, né accoglienza. Vive come un emarginato, tra baracche e fiume, spesso sfamato dalla carità. I suoi disturbi – oggi riconducibili a un disturbo dello spettro autistico con tratti psicotici – lo rendono 'strano' agli occhi delle persone. Ma è anche in quegli anni di isolamento che Antonio inizia a dipingere, a scolpire, e a osservare il mondo animale.

Solo negli anni Cinquanta, grazie all’interessamento di critica e gallerie d'arte, Ligabue inizia a essere conosciuto, anche se non comprenderà mai pienamente la portata del suo successo. Morirà nel 1965, a 66 anni, dopo aver lasciato un’eredità artistica straordinaria.

Com’era la vita all’epoca di Ligabue

La prima metà del Novecento in Italia è un periodo complesso: due guerre mondiali, il fascismo, la miseria nelle campagne. Nella bassa padana, il lavoro è duro, l'analfabetismo diffuso, le persone vivono di agricoltura e faticano a sopravvivere. Non c’è posto per chi ha un disagio psichico o è ribelle, il suo destino è quello dell'esclusione dalla società o l'internamento in manicomio.

Ligabue viene ricoverato più volte in manicomio, ma la sua sofferenza non è mai ascoltata, solo contenuta. “El Tudesc”, come lo chiama la gente"non aveva un lavoro, non aveva una moglie, non pagava la tassa sul celibato, non contributiva in nessun modo alla crescita dell'Italia fascista" era considerato uno di troppo. In un’epoca in cui le diagnosi erano sentenze sociali e l’arte non era vista come una possibilità, lui riesce però a trasformare il dolore in creazione.

L’urlo di un artista

Una delle scene più potenti del film – e che più mi ha emozionata – è quella in cui Ligabue cerca di vendere un suo dipinto nella piazza del paese. Il quadro raffigura delle tigri: è grande, dai colori accesi, un dipinto esplosivo. Dentro ci sono la sua forza ritrovata, il suo coraggio, il desiderio di farsi riconoscere come artista. Si avvicina a due uomini che lo riconoscono. Con voce tremante, chiede loro se vogliono acquistarlo, se piace. Cerca la loro approvazione, ciò di cui ha bisogno ogni artista.

Ma quei due ridono di lui. Lo umiliano, lo ridicolizzano. E quello sguardo pieno di speranza si trasforma. Prima nella vergogna, poi nella furia. Ligabue prende il quadro e lo distrugge, lo calpesta, lo scaglia in aria davanti ai passanti attoniti. È una scena dura, lancinante, che mostra tutta la sua fragilità e l’ingiustizia dell’emarginazione di chi ha una patologia mentale. 

Il bisogno di riconoscimento 

Volevo nascondermi è un film sull’arte, ma soprattutto sull’umanità. È un racconto di ferite e riscatto, di solitudine e desiderio di esistere. La bravura dell'attore Elio Germano non sta solo nella mimica o nella voce, ma nella capacità di farti entrare nel cuore dolente di un uomo che voleva solo essere amato per quello che era. Perché, in fondo, ogni artista – come ogni persona – ha bisogno di sentirsi dire: “Ti vedo. E ciò che fai vale”.

Determinanti i ruoli femminili 


In un’opera dominata dalla figura tormentata di Antonio Ligabue, le attrici che costellano questo il film riescono a imprimere emozioni profonde con ruoli sobri ma essenziali. Dagny Gioulami, nei panni della madre adottiva Elise, incarna il dolore sordo di una donna che non sa come amare un figlio “diverso”, e lo fa con uno sguardo appena accennato, con gesti che parlano più delle parole. Paola Lavini, con la sua intensità silenziosa, regala al film un’umanità struggente, tanto da meritare una candidatura al Globo d’Oro. Anche Orietta Notari lascia una traccia delicata, contribuendo a costruire il mondo che ha rifiutato e ferito Ligabue.

Arte outsider: il valore della voce non addomesticata

Ligabue è oggi riconosciuto come uno dei maggiori esponenti dell’art brut o arte outsider, espressione artistica spontanea, nata fuori dalle accademie e dai circuiti ufficiali, che nasce dal bisogno viscerale di esprimersi, spesso da parte di persone emarginate o considerate 'inadatte' dalla società, viene definito anche come artista naif

"Anche dopo la notorietà, il successo, l'automobile, l'autista, il cappotto, il cappello, Ligabue rimane una creatura disperata, solitaria, senza amore. E cerca l'amore con affanno, ma il suo 'fuori' è troppo diverso, perché qualcuna possa capire ciò che c'è dentro" 

Il vero naif, di Raffaele Andreassi, Odeon, 1977


“Io sono un grande pittore”
(Antonio Ligabue, intervista del 1962)


Per approfondire 

Puoi vedere il film del 2020 'Volevo nascondermi' su ðŸ‘‰Raiplay

Sempre su Raiplay puoi vedere ðŸ‘‰'Ligabue', lo sceneggiato del 1977, in 3 puntate,  interpretato da Flavio Bucci

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