lunedì 13 ottobre 2025

La fotografia come un filo che tiene insieme le persone

La fotografia come un filo che tiene insieme le persone

Ci sono weekend che ti scorrono addosso senza lasciare nulla e altri che, invece, ti attraversano e ti cambiano, anche solo un po’. Quello appena passato appartiene alla seconda categoria. Perché la fotografia – ancora una volta – è riuscita a intrecciare mondi diversi: immagini e parole, riflessioni, criticità e relazioni, incontri che fanno crescere e momenti semplici che diventano essenziali.

Il confronto 

Il cuore di tutto è stato il confronto con il mio lavoro durante la lettura portfolio, uno degli appuntamenti del Festival della Fotografia Etica di Lodi. Portare le proprie immagini davanti a sguardi estranei, ma professionali, è sempre un atto di vulnerabilità: ti spogli di ogni difesa e lasci che qualcunə legga dentro alle tue scelte, ai tuoi silenzi, alle tue intenzioni. Le critiche – alcune dure, altre preziose – hanno scavato in profondità, costringendomi a guardare i miei progetti da angolazioni nuove. 
La fotografia non è mai un punto d’arrivo, ma un percorso in continua trasformazione, ogni osservazione, anche quella più tagliente, può diventare un invito a crescere.

Mentre varcavo quella soglia, ho pensato a un anno fa, a quando avevo presentato il mio primo portfolio fotografico. In quell’occasione avevo raccontato nel blog l’emozione e la paura di uscire dalla mia zona di comfort, chiedendomi se fossi davvero pronta a mettermi in gioco. 👉 Oltre la zona di comfort

Keep push


Da quelle riflessioni si è aperta un’altra prospettiva con la visita alla mostra “Keep Push – Impegno continuo, impegno solidale” di Nicola Berti, promossa dal Soroptimist Club di Lodi e dedicata al lavoro di Medici con l’Africa CUAMM.
Le immagini raccontano storie di vita vissuta, ma anche di dedizione e di resistenza quotidiana nelle comunità africane più fragili.

Tutto molto lodevole. Eppure, accanto alla forza delle immagini, mi è rimasto addosso un dispiacere: pochissime relatrici hanno preso la parola, e ho pensato a quanto sarebbe stato prezioso ascoltare una ginecologa o una delle donne formate sul territorio africano – magari in streaming, se non era possibile averle lì in presenza.
Invece, mi sono ritrovata ad ascoltare (ancora una volta) un uomo che spiegava le problematiche femminili.

Alla moderatrice è toccato illustrare le finalità dell’associazione, alla docente quelle della scuola, alla presidente di Soroptimist raccontare le proprie iniziative, a chi si occupa di fotografia presentare il proprio lavoro, al docente francescano parlare di educazione.
E poi, a un uomo – medico e prete – il compito di raccontare l’altissima mortalità per parto.
Il tutto condito da un aneddoto che, pur detto con leggerezza, è rimasto lì a ronzarmi in testa: «Amina, nera e con grandi occhi… Ste ragazze sono tutte nere e con i capelli uguali.»

Una frase pronunciata sicuramente senza malizia, ma che rivela quanto certi sguardi coloniali e stereotipati siano ancora radicati anche quando non ce ne accorgiamo.
Quanto alla contraccezione, inutile dirlo: in un collegio cattolico era più probabile sentir parlare di miracoli che di prevenzione – anche se in un contesto come quello sarebbe stato un tema cruciale.

Non ho risposte pronte, ma una convinzione sì: ascoltare le donne, soprattutto quando si parla dei loro corpi e delle loro vite, non è un dettaglio, è la differenza tra raccontare “su” qualcunə e restituire una storia “da dentro”.
E forse il vero cambiamento comincia proprio lì: quando chi osserva sceglie di fare un passo indietro e lascia spazio a chi quelle esperienze le vive davvero, perché non lasciare spazio alle donne per parlare delle questioni femminili?

La leggerezza e l'amicizia

Tra un incontro e l’altro c’è stato anche tempo per la leggerezza: un pranzo in centro con la mia amica Tania, lunghe chiacchiere, risate e riflessioni che hanno intrecciato amicizia e fotografia. Anche questo fa parte del percorso: le immagini non vivono nel vuoto, ma nelle relazioni che le circondano. Sono i legami a nutrire lo sguardo, a renderlo più attento e capace di cogliere sfumature.

Il cerchio si è chiuso domenica, accanto a Franchina, nella sede della Provincia di Lodi, dove le sue opere sono esposte in mostra. In quel momento la fotografia si è fatta sguardo affettuoso e complice, uno spazio in cui non ero più autrice ma spettatrice, amica, testimone di un cammino artistico che conosco bene.
Ed è stato come vedere materializzarsi, fuori da me, tutto ciò che queste giornate mi avevano insegnato: il valore della condivisione, dell’ascolto, della presenza reciproca.

Le storie 

Alla fine porto con me la certezza che la fotografia non è mai soltanto immagine. È relazione, dialogo, confronto: un linguaggio che mi mette in contatto con le altre persone e che mi fa scoprire chi sono realmente.

Forse è proprio questo il suo potere più grande: trasformare le esperienze in legami, e i legami in storie da raccontare.

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