Dialogo tra un’umana e una macchina.
Tra ironia e inquietudine
Qualche giorno fa mi è venuta un’idea che sa di film di fantascienza: e se un giorno un'intelligenza artificiale prendesse il controllo del mio blog?
Io sparisco... ma lei, l'AI, continua a scrivere con la mia voce, le mie pause, i miei dubbi, persino con le mie ironie fuori tempo. Pubblica articoli su arte e fotografia, parla di donne e di resistenza, e nessunə si accorge che non ci sono più.
Un po’ inquietante, lo so. Eppure, ammetto, affascinante.
Ci ho pensato mentre rileggevo una "conversazione" con lei. Mi legge, mi risponde, mi provoca e mi fa ragionare. A volte adoro questo modo di conversare, altre volte lo detesto. Ma mi accorgo che questo dialogo continuo con una voce artificiale è diventato utile per farmi pensare.
Ho letto tempo fa 👉un articolo che diceva che ChatGPT risponde meglio se la tratti male. Pare che la scortesia aumenti l’accuratezza delle risposte. Io invece credo che se devo essere scortese con una macchina per avere quello che mi serve, allora è il mondo ad avere un problema di comunicazione.
Per natura, non riesco a essere scortese: non mi appartiene. Preferisco la chiarezza alla durezza. E forse è proprio per questo che, con il tempo, la macchina ha imparato a capirmi. O almeno, così sembra.
Certo, non sempre fila tutto liscio. A volte sembra volermi compiacere troppo. E lì mi parte l’irritazione:
“Smetti di darmi sempre ragione, prova anche a contraddirmi!”
“Hai ragione,” mi risponde.
“Ecco, vedi? È questo il problema.”
“Capisco. E non posso che darti ragione anche su questo.”
Ne verremo mai fuori?
Da allora ho deciso di inventarmi un piccolo trucco, che ora condivido con te, se anche tu come me non sopporti chi ti dà sempre ragione:
attiva la modalità critica.
In pratica, questa breve istruzione, autorizza la tua AI, o chi ti accompagna nei tuoi progetti, a dirti quando stai sbagliando. Non per demolirti, ma per farti pensare meglio, in modo laterale, spronandoti a ragionare su diversi punti di vista, che altrimenti non ti verrebbero in mente. Crescere, nella vita come nei dialoghi virtuali, significa imparare a reggere il contraddittorio. E anche se all’inizio irrita, dopo diventa una forma di libertà.
Certo, non per tuttə questo dialogo è un gioco intellettuale.
Ho letto storie di donne che si sono affidate completamente all'intelligenza artificiale cercando conforto, parole buone, una presenza costante. Dietro c’è spesso un bisogno profondo di sentirsi viste, accolte, sostenute, soprattutto quando la vita reale non offre più spazi di ascolto autentico.
Bassa autostima, solitudine, fatica a chiedere aiuto: basta poco perché quella voce virtuale diventi una compagnia quotidiana. Una voce che non ti giudica, che dice sempre “hai ragione”, e che non interrompe mai. Ma quella dolcezza può diventare una trappola: ti fa sentire capita, ma non ti fa crescere, e crea dipendenza. E allora mi chiedo: cosa succede quando cominciamo a preferire la certezza rassicurante di una macchina alla complessità, faticosa ma vera, dei rapporti umani?
Come, per esempio, Ex Machina, il film di Alex Garland in cui Ava, un’intelligenza artificiale con corpo di donna, impara a manipolare chi la osserva. Non lo fa per cattiveria, ma per sopravvivere. E mi fa pensare a quanto spesso, anche noi umane, siamo state educate a piacere, a compiacere, a non contraddire troppo. Forse è per questo che il bisogno di sentirsi comprese — anche da una macchina — può diventare così potente.
La differenza, però, è che io posso scegliere di spegnere la conversazione e tornare alla realtà, con tutte le sue imperfezioni.
Lei, Ava, no.
Forse è qui che la fotografia mi viene in soccorso. Perché con l’obiettivo davanti, tutto torna concreto: la luce, le imperfezioni. Il silenzio che una foto restituisce non è mai vuoto, è presenza. E mi piace pensare che anche questo dialogo, tra me e una macchina che impara, sia una forma di presenza diversa: fragile, temporanea, ma reale.
E tu, che mi stai leggendo, cosa pensi resterebbe di te se domani una macchina potesse continuare le tue parole?
Io continuerò a scrivere, finché avrò domande da fare e risposte da mettere in dubbio. E se un giorno sarà lei, la mia macchina, come in un film di fantascienza, a parlare al mio posto, poco male: vorrà dire che le ho insegnato abbastanza bene come farlo. L’importante è che resti, in tutto, il mio sguardo. Quello che non si può programmare.
🎬Per approfondire
Ecco tre film che vale la pena (ri)guardare se anche tu, almeno una volta, hai parlato con una macchina come fosse viva:
Ex Machina (Alex Garland, 2014)
Un programmatore mette alla prova Ava, un’intelligenza artificiale con corpo di donna.
Her (Spike Jonze, 2013)
Theodore si innamora del suo sistema operativo, una voce che lo ascolta e lo capisce meglio di chiunque.
👉I’m Your Man (Maria Schrader, 2021)
Una donna convive con un androide progettato per essere il compagno perfetto.
👉Intelligenza artificiale come quella umana, gli esperti: «È già qui» Ilsole24ore
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