Vivian Maier, una donna libera | LoSguardoDiGiulia
Dedicarsi alla fotografia anima e corpo, con disciplina e amore. Non separarsi mai dalla propria fotocamera. Mantenere perennemente vigile "l'occhio fotografico" che permette di scovare e osservare particolari insoliti in ogni situazione per poi fissarli su una pellicola, per il puro piacere di farlo.
Per fermare il tempo, la luce, lo sguardo.
Conservare per sé questi momenti gelosamente, senza condividerli con nessuno, non vendere le proprie foto per abbandonare il lavoro poco soddisfacente di bambinaia, badante, governante alle dipendenze di famiglie benestanti, e cambiare vita per intraprendere quello più avventuroso e appagante di fotografa.
Nella mente della serial photographer
Ho voluto tentare l'impresa di entrare nella mente della fotografa Vivian Maier, e per farlo ho letto avidamente alcuni dei numerosi libri che ne raccontano la lunga vita, attraverso le testimonianze di chi l'ha conosciuta, e ho consultato i molti articoli che ne parlano in rete.
Vivian Maier 1926 - 2009
Vivian trascorse la prima infanzia, insieme alla madre, presso l'abitazione di Jeanne Bertrand, artista e fotografa di successo, impiegata in uno studio fotografico nel New Jersey, che suppongo le diede l'imprinting fotografico e ne influenzò l'opera.La spia
Nel 1949, in Francia, durante uno dei suoi viaggi, gli autori di "Vivian Maier, out of the shadows" scoprirono che un abitante del Champsaur si rivolse a Vivian dicendole che stava scattando troppe foto. Lei reagì in modo scontroso e indispettita gli rispose: "Le ha forse contate?"
Aveva una sorta di compulsività nello scattare foto di ogni cosa le interessasse, dalle scene di vita, ai ritratti e i paesaggi. E le persone più diffidenti cominciarono a sospettare che fosse addirittura una spia.
Segnata dal passato
Dicono di lei che non sopportasse gli uomini, che ne evitava il contatto e che in un'occasione colpì un uomo che tentò di impedire che lei si inciampasse allungando le braccia per prenderla, Vivian lo colpì talmente forte da provocargli un trauma cranico. E anche a causa di questo episodio alcune persone ipotizzarono che potesse aver subìto qualche tipo di abuso durante l'infanzia.
La collezionista
Vivian collezionava fotografie e giornali perché le offrivano un piacere estetico, soprattutto riguardo alle trame, alle forme e alla grana della carta. Ed era questo particolare che la rendeva così brava nella fotografia, lei riusciva a vedere lo straordinario nell'ordinario.
Le persone che l'hanno conosciuta nel periodo in cui lavorava a servizio dicono che Vivian scattava continuamente fotografie, nei giorni in cui i bambini le venivano affidati, nei giorni di libertà, e quando scompariva chissà dove. Ogni persona che l'ha frequentata la ricorda con la fotocamera al collo.
Perché Maier lavorava a servizio come bambinaia?
Vivian rivelò ad alcuni datori di lavoro, per i quali fu in servizio negli anni 80/90, che quella era l'occupazione che aveva scelto perché le permetteva di stare all'aria aperta, le garantiva una certa libertà e un tetto sopra la testa.
Vivian non l'ha mai detto, però mi viene naturale pensare che l'avesse scelto perché era il lavoro che le permetteva soprattutto di dedicarsi alla sua passione per la fotografia.
Il periodo Newyorkese
Nel periodo in cui Vivian visse a New York, (intorno al 1950) questa grande città era il centro della cultura fotografica americana. La fotografia veniva presentata nei giornali come il mezzo necessario per affrontare e descrivere la vita nel quotidiano. Chi faceva della fotografia la propria professione era un'eroina, o un eroe, e fare impresa nella fotografia era descritta come una professione da cui non si poteva che trarre beneficio, come mezzo espressivo, di documentazione di grandi temi di attualità.
Probabilmente anche Vivian fu coinvolta da questo entusiasmo in quanto appassionata lettrice di giornali, di fotografia e visitatrice assidua delle numerose mostre fotografiche presenti in città. Forse aveva frequentato anche qualche corso di fotografia, ma sicuramente aveva sviluppato l'occhio fotografico da autodidatta senza imporsi dei limiti né di specializzarsi in nessun genere fotografico.
Un'esperienza unica
Spiccano la sicurezza e il talento di Vivian, la raffinatezza visuale nelle foto, i suoi scatti sono quasi sempre singoli, in un'unica inquadratura e sempre scattati con sua fidata Rolleiflex e un apparecchio Leica IIIc.
I soggetti che fotografava in strada erano spesso inquadrati da vicino, aveva acquisito quindi anche quella sicurezza che ti fa avvicinare le persone sconosciute per chiedere loro il permesso di fotografarle, questa è forse la parte più difficile quando fai street photography. Fermava la gente per strada per fotografarla con le mani intrecciate dietro alla schiena, o le coppie che si tenevano per mano.
Per Vivian la fotografia era un modo di vivere, oltre che una filosofia di vita. Un'impresa liberatoria, un'attività compulsiva in cui contemplava l'ambiente e le persone, che la faceva entrare in contatto e nello stesso momento la metteva distanza dal mondo.
Ogni foto, tutta per sé
Maier scattava esclusivamente per sé, in una sorta di diario. Non era interessata a fare reportage o denuncia, non voleva confrontarsi con nessuno, forse voleva comprendere la vita in rapporto con quella della gente che incontrava anche quando fotografava la sfortuna delle persone per strada durante le passeggiate nei sobborghi di Chicago, o immortalava con foto veloci e casuali personaggi dello spettacolo di quell'epoca, tra cui Frank Sinatra, Bette Davis ...
La vecchiaia
In vecchiaia Vivian, quando non ebbe più la forza di poter lavorare come bambinaia né fotografare, andò in pensione, si estraniò da tutte le sue passioni e si ammalò, fece una bruttissima caduta, fu ricoverata e tutti i suoi tesori rinchiusi in centinaia di scatole e valigie furono venduti all'asta. Nel 2007, chi aveva comprato le scatole e le valigie che contenevano gli innumerevoli rullini di foto scattate da Vivian, (John Maloof) non sapeva che farsene e non si era accorto del patrimonio che aveva tra le mani.
Per provare a farne qualcosa Maloof scansionò allora alcune foto, le pubblicò in rete su Flickr e da allora, grazie a un pubblico attento, venne scoperta la genialità fotografica di Vivian Maier e riconosciuta in tutto il mondo.
Vivian non ebbe mai il piacere di vedere valutato adeguatamente il suo lavoro immenso, un vero patrimonio storico, scoperto per caso, che altre persone hanno divulgato dopo la sua morte.
Una donna libera
Vivian Maier era una donna libera, che fotografava per amore dell'arte, per lei fotografare per guadagnarsi da vivere penso che sarebbe stata la fine della sua libertà espressiva, di poter scegliere le ambientazioni, i soggetti che le capitavano all'occhio, i momenti in cui decideva di scattare, avrebbe dovuto trovare una casa sua, un laboratorio, pagare le spese, trovare i clienti, proporre le sue foto ai giornali, magari doversi adattare a fare foto ai matrimoni, o vari eventi di cui probabilmente non le sarebbe importato nulla.
Ammiro profondamente Vivian Maier, che ha fatto la propria scelta di vita e l'ha portata fino in fondo, con determinazione.
Chissà di cosa sarebbe capace Vivian, ora, nell'era digitale!
***
Fonti:
Vita di Vivian Maier. La storia sconosciuta di una donna libera. (Ann Marks)
"A prescindere dal ruolo che le assegnaremo nella storia della fotografia, Vivian merita una menzione pun motivo completamente diverso: la sua figura di donna che ha superato molti ostacoli per farsi strada nella vita alle sue condizioni, mantenendo sempre un grande impegno nel promuovere il bene comune."
Vivian Maier. Una fotografa ritrovata. (John Maloof)
Vivian Maier, la street photographer 'collezionista' di scatti
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